Mille famiglie e duemila persone accolte tra i diversi servizi - dall’assistenza domiciliare alle comunità d’alloggio per minori e stranieri – circa 500 persone occupate, tra operatori e volontari, impegnate nelle varie attività. Sono i numeri della Cooperativa Sviluppo Solidale, socia del Consorzio Sol.Co.
Nata nel 1996 a Palermo con l’obiettivo di orientare l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini, Sviluppo Solidale – da sempre al fianco delle persone più vulnerabili tra cui minori, disabili, anziani e immigrati – si occupa attivamente di progetti volti alla cura della persona, all’accoglienza, all’integrazione e al sostegno al lavoro, considerando le differenze e il confronto come opportunità di sviluppo e di valorizzazione del tessuto sociale.
Ci racconta il lavoro della Cooperativa, gli obiettivi raggiunti e quelli a cui si punta, Francesco Passantino, presidente della Cooperativa Sviluppo Solidale e consigliere delegato del Consorzio Sol.Co.
- Sviluppo Solidale è una Cooperativa storica, nata 25 anni fa in Sicilia. In che contesto muoveva i primi passi?
«Sviluppo Solidale è una cooperativa storica che nasce in un contesto sociale diverso da quello attuale, molto più chiuso e dove era più difficile intercettare i bisogni. Oggi la situazione è chiaramente diversa. Venticinque anni fa era pressoché improbabile incontrare una persona con disabilità in giro in carrozzella o un ragazzo con disturbi della personalità al parco o a fare attività ricreative, perché culturalmente le comunità non erano pronte. Oggi c’è una richiesta maggiore, i bisogni vengono ricercati e richiesti. C’è un’apertura culturale e sociale che permette di erogare servizi di qualità e andare incontro ai bisogni reali».
- Come Sviluppo Solidale ha influenzato le politiche di welfare a Palermo e come questa influenza si è estesa anche sul resto del territorio siciliano?
«Sviluppo Solidale sin dall’inizio e con i vari presidenti che si sono susseguiti – tra cui vorrei ricordare il fondatore della Cooperativa Filippo Ales, che purtroppo quest’anno ci ha lasciati – ha cercato sempre una forte collaborazione con le istituzioni, partecipando ai tavoli di programmazione e lavorando con la Legge quadro del 2000 –oggi 328 – per la rivoluzione e la riforma di tutti i servizi sociali. Chi gestisce servizi ed è a contatto con il territorio ha una visione diversa da chi lavora da dietro una scrivania. Come consigliere delegato del Consorzio Sol.Co. – di cui sono stato presidente per due mandati – posso affermare che il territorio siciliano è abbastanza frastagliato. Ci sono aree in cui i servizi sono molto più sviluppati e altre in cui ancora oggi vengono erogati esclusivamente servizi basilari, a seconda della capacità di programmazione delle amministrazioni. Non ci sono più Comuni che prendono fondi di bilancio per erogare servizi sociali, sono tutti fondi regionali, statali o europei. E senza la capacità di aggredire questo tipo di risorse economiche finanziarie da una parte, e quella di costruire visioni da parte delle amministrazioni comunali dall’altra, ci si fermerà sempre ai servizi obbligatori di base».
- Di cosa ha bisogno oggi la cooperazione sociale?
«La soluzione è la co-progettazione dei servizi. Se gli enti locali, a livello nazionale, diventano realmente sensibili a una norma già vigente che impone, o consiglia, di programmare, progettare e co-progettare insieme agli erogatori di servizi, sicuramente questi ultimi miglioreranno e ci sarà la capacità di aggredire ulteriori risorse. La pianificazione e l’ottimizzazione delle risorse sono fondamentali quando si parla di servizi sociali. E l’ottimizzazione è quella che manca anche in Sicilia e che permetterebbe di migliorare i servizi e allargare la platea dei soggetti fragili assistiti. È facile, per fare un esempio, che un soggetto fragile venga assistito da due enti diversi per due finanziamenti diversi, mentre un altro non ha nessun servizio».
- Qual è il ruolo politico degli imprenditori sociali, che di fatto sono connettori tra le istituzioni e i bisogni dei cittadini?
«Come imprenditori sociali dovremmo rivendicare il nostro ruolo politico. Il tentativo, negli anni, è stato fatto, anche cercando di modificare alcune norme emanate dalla Regione Siciliana, costruendo un dialogo produttivo con la politica. È necessario, dunque, rafforzare l’apertura di tavoli tecnici in cui le imprese sociali partecipino attivamente nella creazione di normative a tutela delle persone più fragili. Oggi, nel 2021, nel recovery fund si comincia a parlare di cure e case di prossimità. Argomenti che la Fondazione Ebbene, per esempio, affronta da dieci anni. Sono convinto che le imprese sociali hanno raggiunto soltanto il 10% del lavoro che in realtà si voleva mettere in campo. È qui, quindi, che si gioca la vera partita: spingere l’acceleratore per fare, e non soltanto essere, impresa sociale».