All'apice della solitudine, una fessura. Teatro nel carcere di massima sicurezza di Bicocca che ospita detenuti per associazione mafiosa, che da marzo dell'anno scorso e a fasi alterne (dalle due e mezza del pomeriggio per tre ore filate) provano da novelli attori, cantanti e autori di "Sorrisi e voci", lo spettacolo che quindici di loro, tra i 28 e i 60 anni, presenteranno domani alle 15, nel delizioso spazio teatrale inaugurato venerdì scorso, in occasione della giornata della sensibilizzazione contro i suicidi in carcere.
"Casa Teatro Bicocca" è una scommessa che ci riguarda tutti, più o meno disponibili ad aprire quello squarcio che si chiama recupero, integrazione, "addomesticamento" all'umanità. E benché non sia un'avventura ignota alle case circondariali - in testa l'esperienza autorevolissima del Teatro della Fortezza di Volterra che ha consegnato, nel tempo, prove attoriali "toste" in non meno "toste" drammaturgie, da Genet in poi - come ogni avventura, però, assume i tempi, le pieghe, il respiro di chi ne è nocchiero.
Cioè Piero Ristagno, poeta e regista da lustri e lustri - non senza la sua talentosissima compagna d'arte e di vita, Monica Felloni - missionario autentico di un teatro "diverso" non solo perché senza sipario e senza catinelle, ma perché si predica delle diversità espressive dell'essere umano.
Gli audiolesi, per esempio, per esempio i bambini Down, e, in questa sede, gli adulti di una "casa" di cui potrebbero essere a lungo "inquilini". Piero e Monica, dunque, hanno firmato la regia di "Sorrisi e voci", recital di liriche dello stesso Ristagno ma con testi scritti dai detenuti, Salvatore in testa, e naturalmente canzoni a pioggia, sotto la guida del maestro Giuseppe Privitera. Non senza essere stati felicemente contagiati, prima, da Carmela Cosentino, assistente sociale e volontaria a Bicocca, cuore palpitante del progetto, intorno alla quale è emerso un arcipelago non meno pulsante di volontari.
Nella "massima sicurezza" di una disponibilità a tappeto, racconta Ristagno: «Nel pieno rispetto dei ruoli che è stata garanzia di identità e verità, è stata un'esperienza condivisa a tutto tondo, dagli organi istituzionali agli agenti di polizia penitenziaria, l'educatore Maurizio Battaglia in prima linea». -Quali sono state le priorità nell'aprire Casa Teatro Bicocca, quanti gli incontri/scontri?
«Nella fase progettuale non potevo immaginare la grande vittoria dell'essere umano. Diventa un fatto neoilluministico ammettere che la più formidabile arma da guerra è la cultura, capace di produrre bellezza e partecipazione alla vita. Retorica? Nient'affatto in una situazione del genere».
- Il primo impatto. È possibile descriverlo? «Ti trovi dinanzi ad una violenza personificata che è stabile, ferma, solida. Impossibile smontarla, sgretolarla. Accetti di lasciarla lì dov'è ma se non puoi abbattere un muro, puoi creare un altro orizzonte.
Del resto è questo, il compito dell'arte, tanto effimera quanto eterna nel cuore di chi vi opera. La drammaticità del teatro è il senso di una catarsi che, nel nostro tempo, può accadere in altro modo perché gli orizzonti sono infiniti, perché infinito è l'uomo. Tra le maschere che ci sono date, allora, scegliamo quelle d'oro e quella del dio che le fabbrica, dalla violenza all'amore assoluto, sono tutte accessibili.
E nel teatro che è azione da costruire insieme, il compito che ti assegni è allora quello d'accogliere le maschere per ciascuno di loro, metterle insieme, coordinarle, renderle visibili».
S'incomincia con "I' te vurrìa vasà", per voce sola. Subito dopo, gli attori di Casa Teatro Bicocca invadono il palco che sembra riprodurre il cortile destinato alla loro "ora d'aria". È una marcia tenerissima e senza appello, un reggimento compatto e d'eleganza quasi femminea.- Che cosa si porta "fuori", Ristagno? «Non parole ma abbracci. Veri, senza ruffianerie, indimenticabili. Te li porti 'fuori' per tenerli 'dentro' per sempre».
Da La Sicilia del 18/02/2009
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