Il primo anno a Palermo dei tutori volontari può essere raccontato da queste cifre: il 60% dei tutori ha seguito più di un minore, il 30% uno solo, gli altri pur essendo formati e iscritti all’albo non hanno ancora avuto alcuna nomina. Guardando i ragazzi, il 50% ha tra i 17 e i 18 anni, il 40% tra i 15 e il 16 anni, il 10% tra i 13 e i 14 anni. Più quei cinque piccolissimi, figli di mamme a loro volta minori non accompagnati. Il 54% dei ragazzi nei centri di prima accoglienza è rimasto per un tempo di 4-6 mesi, in barba ai 30 giorni previsti dalla normativa e il 46% addirittura dai 7 ai 12 mesi. Per avere il permesso di soggiorno, sono serviti otto mesi per il 54% dei ragazzi «ma i tempi stanno migliorando», precisa D’Andrea. Tutti i ragazzi sotto tutela di un tutore volontario hanno frequentato la scuola: il 41% ha già conseguito la licenza media, il 56% sta studiando per conseguirla, il 2% si è già iscritto a una scuola superiore.
Se questa è la fotografia, il bilancio dell’esperienza qual è? D’Andrea è soddisfatto. Il primo punto di forza è che «abbiamo disegnato un processo, i tutori non sono soli». Con il supporto dell’Unicef ad esempio a Palermo è stato aperto un Ufficio Monitoraggio Tutori (U.M.T.), con funzioni di monitoraggio e di accompagnamento, un’esperienza unica sul territorio italiano ed europeo. «Innanzitutto abbiamo definito un percorso a tappe per aiutare i tutori nel loro percorso nuovo, che non è né di genitore né di mera tutela legale», spiega D’Andrea. Il percorso ha sette step:
- conoscenza del ragazzo e della comunità, con la definizione delle modalità per la comunicazione
- socializzazione
- verifica di tutte le pratiche amministrative a cominciare da tessera sanitaria, iscrizione a scuola, permesso di soggiorno
- concentrarsi sull’aspetto ludico: «dopo un anno e mezzo di viaggio in quelle condizioni, i ragazzi hanno bisogno di tornare a essere ragazzi e di recuperare la fiducia nei confronti degli adulti», dice D’Andrea
- raccogliere la storia e dare storia: solo a questo punto si può ricostruire la vicenda biografica del ragazzo e contemporaneamente inserirlo nella storia della città che lo accoglie
- raccogliere desideri e sogni insieme all’educazione formale, informale e non formale: «moltissimi ragazzi non hanno alle spalle percorsi di istruzione formale ma sanno e sanno fare molte cose, la formazione informale e non formale va valorizzata»
- con in mano questi elementi si può costruire una ipotesi di progetto educativo, che viene sottoposto alla comunità e ai servizi sociali e poi sottoscritto come impegno da parte del ragazzo.
«Tutti gli step sono monitorati: sappiamo ad esempio che per il 54% dei ragazzi sono già stati raccolti i sogni e desideri, mentre il 40% ha già un progetto educativo. Le criticità? Abbiamo raccolto circa 600 segnalazioni da parte dei tutori, inizialmente le problematiche erano legate soprattutto alla dimensione giuridica/legale, col tempo sono più sulla parte progettuale. Molte difficoltà sono emerse nel rapporto con le comunità, prevedibilmente poiché il tutore è una figura nuova e non è semplice gestire la presenza di otto tutori in una comunità con 12 minori. Abbiamo lavorato molto su questo, oggi diverse comunità hanno compreso che il tutore è una risorsa per tutta la comunità». Un secondo punto critico è la scuola poiché «molti ragazzi non hanno la concezione né l’esperienza dello stare seduti. Ci stanno aiutando molto i tirocini di un mese che i ragazzi con più di 16 anni stanno facendo in negozi e piccole imprese: accelerano la padronanza della lingua, la conoscenza del territorio e delle opportunità di lavoro, oltre che a far capire l’importanza della scuola. Ovviamente parliamo di una città in cui la disoccupazione giovanile è al 60%... Qui a Palermo stiamo facendo un lavoro egregio con i tutori volontari, ma… dovremmo attrezzarci per i miracoli».
Un altro di forza è l’aver creato una community dei tutori volontari: «li raduniamo tutti ogni due o tre mesi, è nato un gruppo solidale, ormai si conoscono fra loro, sanno le competenze specifiche di ognuno, di chiamano per consigli. Ad esempio si sono auto-organizzati per migliorare il loro inglese, con un tutore stesso che ha fatto da docente».
Fonte: Vita.it