Il codice del Terzo settore (CTS) ha riscritto i criteri su cui misurare il carattere non commerciale dell’attività svolta: l’obiettivo è quello di definire più nettamente il confine tra attività commerciale e attività no profit. Adesso spetta agli enti fare le proprie valutazioni su quali siano per loro le soluzioni fiscalmente più convenienti, previa attenta considerazione delle proprie caratteristiche e dei propri modelli operativi.
Come sono coinvolte dalla riforma le residenze socio sanitarie e quali le soluzioni fiscali? Per fare chiarezza bisogna guardare in primo luogo all'art. 79 del CTS, il quale richiede di verificare se i costi (sia diretti che indiretti) relativi alla gestione del servizio (considerando sia le attività istituzionali principali che secondarie) superano i corrispettivi ricevuti dall’utenza, considerato anche l’eventuale contributo erogato dalla pubblica amministrazione. Solo in caso di esito positivo l’ente potrà considerarsi “non commerciale” e accedere, di conseguenza, ai regimi forfettari agevolati per la tassazione dei relativi proventi. Se invece l’ente dovesse qualificarsi come commerciale, manterrebbe il proprio status di “ente del terzo settore” e sarebbe sottoposto a una tassazione degli introiti del tutto ordinaria.
Un’alternativa, nel caso in cui il requisito della prevalenza richiesto all’art. 79 non dovesse essere soddisfatto o l’ente ritenesse di voler fruire comunque di un diverso trattamento, è l’accesso al regime dell’impresa sociale che, grazie alla riforma del terzo settore, conquista finalmente autonoma dignità sotto il profilo fiscale. Seguendo questa strada verranno detassati tutti gli utili conseguiti dall’ente, se reinvestiti in finalità sociali entro due anni, senza necessità di svolgere alcun calcolo di prevalenza in merito alla natura dell’attività svolta.
Fonte: Vita.it